Teatro Pacini di Pescia. incontro con Bruno Mantelli e Kitty Braun

Biografia di Kitty Braun

Kitty Braun nasce a Fiume il 14 gennaio 1936. A causa delle leggi razziali del fascismo  frequenta una scuola riservata agli ebrei fino alla seconda elementare. Nel 1943, dopo l’incendio della sinagoga di Fiume e il licenziamento del padre, la nonna, che parla solo yiddish e si muove con difficoltà, viene affidata alle cure della domestica jugoslava Danica mentre la famiglia Braun cambia il cognome in Ferri e si trasferisce a Trieste e poi a Mestre, vivendo in clandestinità con l’aiuto di alcuni abitanti; la mattina dell’11 novembre 1944, nascosti nel fienile di una casa, sono scoperti e catturati da una pattuglia tedesca guidata da un fiumano. Al momento dell’arresto provano una “sensazione di stupore e liberazione”: finivano le continue fughe e l’angoscia di vivere braccati. Dopo l’arresto sono portati a Treviso e poi a Venezia, alla prigione Santa Maria Maggiore, per una ventina di giorni. Nella seconda metà di dicembre sono trasferiti alla Risiera di San Sabba, a Trieste. L’11 gennaio 1945 Kitty e la sua famiglia sono caricati sull’ultimo convoglio in partenza dalla Risiera per il campo

Il percorso di Kitty Braun raccontato nel lavoro della Classe IIIa Sociale

di concentramento di Ravensbrück, a nord di Berlino, il lager istituito dai nazisti appositamente per le donne. Tra il 27 e il 28 aprile 1945 il campo è evacuato, l’esercito alleato si sta avvicinando e i nazisti non vogliono lasciare i loro prigionieri nelle mani nemiche. I deportati maschi, tra cui il padre di Kitty, vengono spinti a piedi verso sud in direzione di Parchim. E’ durante questa “marcia della morte” che Aron Perlof, lo zio di Kitty, è ucciso dalle SS perché non riesce più a proseguire. Le donne con i bambini sono mandati in treno a Bergen-Belsen: le baracche sono vuote e i deportati costretti a dormire sul pavimento, ad l’uno su l’altro, senza neppure allungare le gambe per riposarsi, tanto che alla piccola Kitty, rimasta accucciata per lungo tempo, si atrofizzano le gambe. Una notte il cugino di Kitty, Silvio, “dopo essersi lamentato e aver pianto tutto il tempo muore e il commento della sua mamma è “Finalmente!”. Quando i tedeschi lasciano il campo in seguito all’avanzata alleata, molti deportati restano senza cibo né acqua per giorni, “aspettando solo di morire”.Gli alleati arrivano a Bergen-Belsen il 15 aprile 1945 e restano increduli di fronte a ciò che hanno davanti agli occhi. Kitty deve imparare a camminare di nuovo, perché ha perso la capacità di utilizzare le gambe atrofizzate. Il fratellino, ricoverato perché affetto da tubercolosi, muore il 22 giugno 1945. Un lungo viaggio attraverso Merano e Treviso, e Kitty e la madre tornano a Mestre, dalle persone che li avevano aiutati durante la clandestinità, poi raggiungono il padre a Fiume, dove però non ritrovano la nonna, morta in ospedale. All’arrivo a casa la scoprono occupata dalla domestica Danica, che li aveva denunciati durante la clandestinità per appropriarsene. I Braun decidono di non denunciarla, lasciandola andare via. A causa della politica del governo del generale Tito, nel 1947 la famiglia Braun deve scegliere tra la cittadinanza jugoslava e quella italiana e poiché decide per quella italiana è costretta a un nuovo esodo. Come profughi istriani si trasferiscono a Firenze dove Kitty vive ancora oggi. Da ragazza si è convertita alla religione cattolica. Ha sposato il fiorentino Gianfranco Falaschi e lavorato fino alla pensione come insegnante.

LAVORI IN CLASSE

La corrispondenza con Kitty Braun degli studenti della classe III a sociale dell’Istituto Sismondi Pacinotti di Pescia